La transizione digitale ha rivoluzionato la gestione delle aziende in modo significativo, creando nuove opportunità per la crescita aziendale e allo stesso tempo presentando nuove sfide. L’accesso a una vasta gamma di dati e tecnologie avanzate consente alle aziende di espandersi più rapidamente e in modo più efficiente, ma per farlo è necessario acquisire le competenze per sfruttare a pieno questi strumenti nella direzione dei propri obiettivi.
Una trasformazione digitale concreta e ordinata di questo tipo richiede degli investimenti: in tecnologie, in formazione, in processi. Ma un’altra caratteristica dell’era digitale è la velocità, che impone di stare al passo per non rimanere fuori dai giochi e perdere competitività, quindi di effettuare i cambiamenti in fretta.
Le aziende che vogliono crescere, oggi, devono quindi affrontare la duplice sfida di cogliere tutte le opportunità del digitale e di farlo in modo rapido ed efficiente. Soldi e tempo, però, sono risorse tipicamente caratterizzate da scarsità cronica, specialmente nella società contemporanea mutevole ed esigente.
Da un lato, quindi, è necessario definire un budget dedicato alla digitalizzazione aziendale e individuare le eventuali fonti di finanziamento, dall’altro è fondamentale avere una o più figure specificamente deputate a guidare la trasformazione.
Perché non si può rinunciare alla transizione digitale
Di fronte alle difficoltà individuate nel paragrafo precedente – e alle molte altre che si possono presentare a un’impresa di fronte alla sfida della digitalizzazione – tante realtà possono essere tentate di rinunciare. Ormai il digitale a livello base fa parte della quotidianità di qualsiasi attività, perciò ci si può far bastare quel livello base, arrivare fin dove è possibile, mettere qualche pezza qua e là e fare solo qualche cambiamento superficiale, no?
Può bastare forse per restare a galla, ma probabilmente per tanti settori economici nemmeno per quello. Non crescere, spesso, significa morire. Fare oggi le stesse cose che si facevano ieri spesso significa spendere di più e riuscire meno bene degli altri, in due parole: perdere competitività. Ma anche credibilità e visibilità.
Integrare il digitale nei processi aziendali permette di renderli più efficaci, di individuare ed eliminare punti deboli, scoprire nuovi punti di vista e nuove strade per arrivare agli stessi obiettivi, ampliare la propria fetta di mercato e i servizi offerti ai clienti, migliorare l’immagine aziendale e la comunicazione interna ed esterna e quindi diventare più competitivi.
Questo non significa che tutte le aziende debbano diventare high-tech, smaterializzate o iperconnesse dall’oggi al domani: le necessità di digitalizzazione sono diverse a seconda della tipologia di azienda, del prodotto o servizio offerto, della struttura ecc. A volte sono proprio le aziende più tradizionali, per esempio quelle agricole o artigiane, che hanno più bisogno di investire in questo percorso, anche se sembrano le più lontane dal concetto di digitale. La digitalizzazione può riguardare anche solo alcuni dei processi aziendali, tra cui i più comuni sono la comunicazione interna ed esterna, la gestione delle risorse umane e del budget.
Per questo è importante avere una o più figure di riferimento che sappiano comprendere le esigenze aziendali e guidino la transizione digitale. Il loro ruolo comprende compiti imprescindibili:
– individuare le necessità effettive per non sprecare risorse inutilmente;
– definire le strategie migliori per rispondere a quelle necessità in modo specifico per ciascuna;
– coordinare i cambiamenti per integrare le novità con ciò che deve restare immutato, tenendo sempre presente il quadro generale e con un occhio fisso sul budget;
– favorire l’adattamento della cultura aziendale alle novità.
Le nuove figure manageriali nell’era digitale
Il ruolo descritto nel paragrafo precedente si identifica con una posizione manageriale, per potere decisionale, autorevolezza, collocazione del punto di vista, tipologia di mansioni.
È però frequente la situazione in cui i manager dei vari reparti di un’azienda non abbiano tempo né competenze sufficienti per guidare una transizione digitale coerente e coordinata con il resto delle attività. Il rischio è sempre quello di implementare cambiamenti a metà, che non si armonizzano con i processi preesistenti, non vengono acquisiti completamente dal personale e finiscono per non risultare vantaggiosi, quando non creano confusione e peggiorano la situazione anziché migliorarla.
Soprattutto nelle aziende scarsamente tecnologiche, inoltre, spesso c’è una resistenza al cambiamento digitale, che va gestita in modo globale senza ricorrere all’imposizione, metodo più sbrigativo, bensì lavorando sulla cultura aziendale dalle sue fondamenta.
È evidente che, a seconda della situazione di partenza e dei settori su cui è necessario intervenire, servono figure specifiche, preparate appositamente e non improvvisate. La formazione delle risorse interne, seppur imprescindibile per qualsiasi azienda, è anch’essa costosa e richiede tempo, che va sommato al tempo di messa in pratica delle trasformazioni in seguito all’acquisizione delle competenze.
Un’opzione per certi versi più efficiente è l’assunzione di figure manageriali ad hoc già formate in ottica di digitalizzazione e nuove tecnologie. A seconda della fase di sviluppo dell’azienda, può essere una soluzione praticabile se ci sono budget e flessibilità nell’organigramma. Bisogna fare una ricerca accurata basata sulle competenze e prevedere una fase di inserimento nel team preesistente.
Il percorso verso la crescita difficilmente è facile e lineare ed è inevitabile dover fare investimenti di tempo e risorse economiche e umane. In questo scenario, però, oltre alle procedure appena elencate, c’è un’alternativa offerta dalla nuova configurazione fluida e dinamica del mondo del lavoro.
In un mercato del lavoro dove i costi per l’assunzione del personale sono alti, lo scollamento tra domanda e offerta rende difficile trovare le competenze giuste al momento giusto e la formazione dev’essere continua, si stanno affermando diverse concezioni del lavoro e nuove figure professionali, soprattutto in ambito specialistico e ai piani manageriali.
Smart working, lavoro per obiettivi, orari flessibili, attività consulenziale, elevata specializzazione sono le principali caratteristiche che accomunano molte delle figure più qualificate del nuovo mercato del lavoro e che rispondono sia alle esigenze di professionalità desiderose di più libertà e più stimoli, sia a quelle delle imprese bisognose di risorse esperte a sostegno di cambiamenti importanti per una crescita efficiente.
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Il manager temporaneo
Ecco allora l’incontro fra queste due esigenze nel manager digitale temporaneo, che interviene in modo mirato ma olistico negli ambiti aziendali che possono essere migliorati con il digitale, eliminando i costi di selezione, assunzione e formazione e guidando l’azienda verso gli obiettivi concordati.
Sono nate agenzie specializzate che si occupano di analizzare le esigenze delle aziende e selezionare per loro il manager temporaneo più adatto a seconda dell’area di intervento (per esempio HR, commerciale, amministrazione finanziaria, ma anche digitalizzazione complessiva), che possa gestire le attività di una strategia concordata e coordinare le varie operatività. Non è solo un’attività paragonabile a quella di un’agenzia per il lavoro altamente specializzata, perché il manager selezionato viene affiancato durante tutto il percorso da esperti che forniscono supporto strutturale, tecnologico e strategico, oltre che un network di partner di riferimento.
In presenza di una struttura aziendale adatta e aperta, questo permette di ottenere competenze mirate, definire una strategia efficace e di sgombrare il campo da tutte le incombenze pratiche e gli ostacoli che ne possono rallentare l’attuazione, mettendo il manager nelle condizioni di creare una proficua relazione con l’azienda e raggiungere gli obiettivi di risultato in meno tempo.
Il budget per la crescita: da problema a opportunità
L’altro grande tema per le aziende in crescita sono i capitali. Anche in questo caso, il segreto per affrontarlo è delineare una strategia dinamica, che agisca su più fronti e sfrutti le opportunità del digitale. Le possibili fonti di finanziamento per un’azienda sono molteplici e il modo più efficiente per attingervi è combinarle fra loro, selezionando quelle più idonee alla fase di sviluppo della società e considerando la possibilità di portarle avanti in parallelo o sfruttarne una per accedere a un’altra e così via. Non mancano anche gli incentivi statali per la digitalizzazione, tema caro all’Unione Europea.
Considerare tra le fonti di finanziamento solo quelle più tradizionali, come le banche o i fondi di investimento, è limitante e sicuramente non in linea con la volontà di essere al passo con i tempi di cui abbiamo parlato a inizio articolo.
La finanza alternativa e il mondo fintech offrono oggi opportunità preziose che permettono di raggiungere obiettivi al di là della disponibilità di risorse economiche. Certamente richiedono di imparare qualcosa di nuovo, magari di affidarsi a figure professionali nuove, di ripensare alcuni processi: come abbiamo visto, tutto questo è indispensabile per la crescita.
L’esempio forse più noto è il crowdfunding, il sistema di raccolta di capitale online che si declina in tanti strumenti diversi, tutti basati sul meccanismo di raccogliere fondi su piattaforme web apposite da una “folla” (crowd) di persone che diventano investitori o finanziatori della società. La particolarità del crowdfunding è che, più che un’operazione finanziaria, è un’operazione di marketing finalizzata ad accrescere la brand awareness, comunicare efficacemente la vision e la mission aziendali, creare coinvolgimento, costruire una rete di contatti fidelizzati, offrire qualcosa di unico ai potenziali investitori, entrare in contatto con stakeholder utili ai propri obiettivi.
Un’operazione che ha come obiettivo convincere delle persone a partecipare a una campagna di crowdfunding investendo i propri soldi nell’azienda, ma ha come decisivi effetti collaterali positivi la costruzione di un robusto processo marketing multicanale, l’aumento della visibilità dell’azienda, l’acquisizione di nuove competenze per le attività online e di un network. Tutto questo resta anche dopo la fine della campagna e ha un valore ben più alto e duraturo del capitale raccolto.
La transizione digitale, in conclusione, va considerata un mezzo, oltre che un fine, un’opportunità, oltre che una sfida, perché solo così può diventare sia la meta sia il percorso di una crescita efficiente. Un percorso che non è mai finito e ha sempre mete nuove.