La normativa per l’equity crowdfunding

normativa equity crowdfunding

La normativa per l’equity crowdfunding che fornisce alle imprese il quadro in cui raccogliere capitale di rischio online ha una storia lunga e movimentata.

L’equity crowdfunding arriva ufficialmente in Italia nel 2012 e il nostro Paese è il primo in Europa a occuparsi della regolamentazione del fenomeno. Al contrario, siamo stati tra gli ultimi a recepire il Regolamento UE 2020/1503, o Regolamento ECSP, che ha uniformato la normativa sul crowdfunding in tutti gli Stati membri dell’Unione Europea. 

In questo articolo approfondiamo la strada percorsa negli anni intercorsi tra questi due estremi normativi, per fornire un quadro esaustivo di cosa significhi oggi fare equity crowdfunding in Italia.

Chi può fare equity crowdfunding?

Quando, nel lontano 2012, il legislatore italiano ha iniziato a introdurre l’equity crowdfunding nel nostro ordinamento, lo ha fatto con l’obiettivo di favorire la nascita e lo sviluppo di startup innovative agevolando loro l’accesso al capitale grazie a Internet.

Il Decreto Crescita bis (179/2012) introduce allora delle modifiche al TUF per creare la possibilità per le sole startup innovative ad alto valore tecnologico di offrire le proprie quote di capitale al pubblico attraverso portali online gestiti da banche e imprese di investimento o da nuovi intermediari soggetti a specifica regolamentazione.

Inizialmente, quindi, erano molto poche le imprese che potevano fare equity crowdfunding. Poco dopo, però, questo novero si è allargato: il Decreto legge Crescita 3.0 o Investment Compact (3/2015) ha esteso il target anche alle PMI innovative e agli organismi di investimento collettivo del risparmio o le altre società di capitali (OICR e SICAV) che investono prevalentemente in startup innovative e in PMI innovative.

Nel 2017, complice il successo dell’equity crowdfunding e la crescente difficoltà delle piccole e medie imprese italiane ad accedere al capitale, è arrivata un’ulteriore estensione: la legge di bilancio ha aperto la possibilità di raccogliere capitale di rischio online a tutte le PMI, innovative o non (imprese con meno di 250 dipendenti e un fatturato annuo inferiore a 50 milioni o un bilancio inferiore a 43 milioni di euro).

Nello stesso anno, il Decreto legge 112/2017 ha esteso l’opportunità anche alle imprese sociali, quando costituite in forma di società di capitali o di società cooperativa.

Il Regolamento ECSP, infine, ha fatto cadere qualsiasi restrizione, aprendo l’equity crowdfunding a tutte le società di capitale (quindi tutte le spa e le srl possono fare equity crowdfunding).

La normativa per l’equity crowdfunding: gli obblighi delle società offerenti

Le imprese che lanciano una campagna di equity crowdfunding sono definite “società offerenti” o “proponenti”. Per poter utilizzare questo strumento di raccolta di capitale, devono rispettare una serie di norme e passaggi burocratici.

Essi sono definiti dalle norme del Codice civile relative alle società di capitali e dal Regolamento Consob del 2013 (e successive modifiche) redatto per rispondere alla necessità di definire modalità operative specifiche per le novità introdotte dal Decreto Crescita bis sopra citato.

Vediamo i principali:

  • La società deve prevedere all’interno dello statuto societario la possibilità di emettere azioni o quote a titolo di finanziamento da collocare tramite piattaforme di equity crowdfunding. In caso contrario, deve convocare un’apposita assemblea dei soci per modificare lo statuto e inserire tale clausola.
  • Lo statuto deve contenere anche le clausole relative alle tipologie di quote che verranno offerte e ai diritti patrimoniali e amministrativi correlati a ciascuna tipologia. La differenziazione più semplice è quella tra quote di tipo A con diritto di voto in assemblea e quote di tipo B senza tale diritto, ma le diversificazioni possibili sono molte e servono ad attrarre diverse categorie di investitori. La legge, però, stabilisce che i soci senza diritto di voto non possono rappresentare più del 50% del capitale e la remunerazione dell’investimento non può essere slegata dai risultati di profitto. Una clausola apposita è necessaria anche per utilizzare la modalità del work for equity, ovvero per offrire quote societarie in cambio di prestazioni professionali.
  • La società ha l’obbligo di tutelare gli investitori prevedendo nel proprio statuto alcuni diritti e clausole:
  1. diritto di recesso (entro 7 giorni dalla sottoscrizione di un’offerta) e diritto di revoca (entro 7 giorni dalla scoperta di sopravvenienza di un fatto nuovo o errore materiale relativo all’offerta)
  2. diritto di co-vendita (tag along, ovvero il diritto di tutti gli investitori di vendere la propria quota a un eventuale compratore alle stesse condizioni proposte ai soci di maggioranza)
  3. clausola di pubblicità dei patti parasociali (obbligo di informare gli investitori di eventuali patti parasociali).

A questi di solito viene associato il diritto di trascinamento (drag along) che serve invece a tutelare la società stessa, garantendo al socio di maggioranza il diritto di vendere anche le quote dei soci di minoranza, alle stesse condizioni economiche delle proprie, senza chiedere il consenso.

  • Il capitale sociale dichiarato nello statuto verrà modificato dal capitale raccolto con la campagna di equity crowdfunding, quindi bisogna dichiarare tale modifica in via preliminare con un atto apposito presso un notaio, ovvero l’atto di aumento di capitale. In questo documento vanno esplicitati i confini, le modalità e le finalità dell’operazione.
  • L’altro documento preliminare obbligatorio è il documento d’offerta, con cui l’impresa deve fornire ai futuri investitori dettagli completi e accurati sull’offerta, come il business plan, la struttura societaria, i rischi associati all’investimento, i diritti riconosciuti agli investitori e i dettagli sulle azioni o quote offerte. Puoi trovare un articolo approfondito su aumento di capitale e documento d’offerta nel nostro blog.
  • La società deve fornire informazioni complete e trasparenti agli investitori sia durante la campagna sia dopo la stessa. Le offerenti, infatti, sono le uniche responsabili della veridicità e della completezza delle informazioni fornite agli investitori attraverso la piattaforma, sebbene quest’ultima rivesta un ruolo di controllo sulla chiarezza e sul livello di dettaglio delle stesse.
  • Infine, per poter raccogliere capitale in equity crowdfunding una società deve aprire un conto vincolato presso una banca, dove confluiranno i capitali man mano che verranno versati dagli investitori. Essi verranno resi disponibili all’impresa solo alla fine della campagna, solo in caso di raggiungimento dell’obiettivo e dopo l’espletamento degli oneri burocratici e la comunicazione dei nuovi soci nel Registro delle Imprese in Camera di Commercio.

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La normativa per le piattaforme di crowdfunding

I soggetti maggiormente interessati dai cambiamenti di normativa per l’equity crowdfunding sono state le piattaforme che ospitano le campagne, non le imprese. Per queste ultime può essere interessante un breve riepilogo delle regole che le piattaforme devono rispettare, in modo da capire come funzionano questi portali e quale ruolo svolgono

Il Regolamento Consob di cui abbiamo parlato nel precedente paragrafo riconosceva la possibilità di offrire servizi di crowdfunding, oltre che a banche e imprese di investimento, anche ad appositi portali online, previa richiesta di autorizzazione a Consob. Il regolamento, con le sue successive modifiche volte a adeguarsi alla direttiva europea MiFID, ha subordinato il mantenimento di tale autorizzazione ad alcuni obblighi per le piattaforme:

  • Compiere in autonomia le verifiche di appropriatezza sulle competenze degli investitori.
  • Verificare che almeno il 5% di ogni offerta sia sottoscritto da investitori professionali (in seguito abbassato al 3% per le PMI) e che la raccolta non superi i limiti (5 milioni di euro per offerta, poi portati a 8).
  • Stipulare un’assicurazione di responsabilità professionale a tutela degli investitori.
  • Pubblicare sul portale tutte le informazioni sulle modalità di selezione delle proposte, sulla gestione degli ordini, sui costi, sulle misure anti-frode, sui rischi di perdita del capitale e di illiquidità, sui diritti degli investitori.
  • Pubblicare sulla pagina di ogni campagna in modo chiaro e completo tutte le informazioni sull’offerta fornite dalla società emittente, mettendo sempre in evidenza il tipo di strumento finanziario offerto e aggiornando le informazioni a ogni mutamento.
  • Divieto di formulare raccomandazioni sulle singole offerte idonee a indirizzare le adesioni degli investitori.
  • Divieto di detenere somme di denaro e di eseguire ordini di investimento (da cui l’obbligo per le aziende di aprire un conto vincolato presso una banca, che è il soggetto autorizzato a occuparsi di queste attività).
  • Divieto di fornire consulenza finanziaria.

Il Regolamento ECSP non ha modificato questi obblighi, semmai li ha inaspriti dal punto di vista della trasparenza e della tutela degli investitori, ma lo approfondiremo nel prossimo paragrafo. 

Qui ci teniamo a sottolineare un aspetto: i doveri delle piattaforme riguardano soprattutto gli investitori. Nei confronti delle aziende, i portali non hanno nessun obbligo, se non quello di fornire informazioni complete e trasparenti sul servizio offerto e sui relativi costi. In altre parole, le piattaforme di crowdfunding non devono portare investitori alle singole campagne, anzi, non possono farlo, visto il divieto di raccomandare singole offerte: possono solo promuovere il portale e le operazioni che propone nel loro complesso. Quindi, la ricerca di investitori spetta all’azienda.

Le novità più importanti del Regolamento ECSP

Abbiamo dedicato un articolo apposito al Regolamento europeo sul crowdfunding, quindi in questa sede riassumiamo solo le novità più importanti per la normativa sull’equity crowdfunding.

  • Estensione dell’accesso allo strumento a tutte le società di capitale (misura che abbiamo già citato).
  • Conferma della possibilità di avvalersi del regime alternativo di intestazione delle quote senza costi o oneri per acquirente e alienante (introdotta in Italia dal D.L. 3/2015 o Decreto Investment Compact) e incentivo alla realizzazione di bacheche elettroniche, per creare un mercato secondario in grado di rendere meno illiquido l’investimento in equity crowdfunding.
  • Limite massimo di raccolta 5 milioni di euro.
  • Caduta del requisito di avere un 5% o un 3% di capitale versato da investitori professionali per poter considerare valida una campagna di equity crowdfunding.
  • Maggiori obblighi di tutela degli investitori per le piattaforme.
  • Obbligo di richiesta di una nuova e specifica autorizzazione a operare per le piattaforme.
  • Possibilità per le imprese di raccogliere capitale in qualsiasi Stato membro dell’Unione Europea, sia su piattaforme italiane abilitate a operare all’estero con la nuova autorizzazione, sia direttamente su piattaforme straniere.

Conoscere il quadro all’interno del quale ci si muove è molto importante per una società che voglia fare equity crowdfunding in modo consapevole e preciso: un requisito imprescindibile per il successo.

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