Il tema più scottante per gli imprenditori che si affacciano alla raccolta di capitale online è l’identikit dell’investitore in crowdfunding. La domanda più urgente è “dove trovo gli investitori per la mia startup o il mio progetto?”. Il dubbio malcelato, spesso, è “ma perché uno sconosciuto dovrebbe investire online nella mia azienda?”.
Questo è il problema: gli imprenditori che si avvicinano al crowdfunding spesso approcciano la questione della ricerca di investitori da punti di vista sbagliati. Sia quello baldanzoso che pensa che il web non aspetti altro che la sua campagna di crowdfunding per investire dei soldi, sia quello scettico che considera impossibile che un’azienda priva di fama possa attrarre investitori online sono in errore. Soprattutto quando si parla di equity crowdfunding, perché quest’ultimo non possiede l’attrattiva del tasso di interesse più o meno alto che nel lending crowdfunding può servire da leva nei confronti di investitori generici.
Lo dimostrano i dati statistici sugli investimenti in equity crowdfunding riconfermati anno dopo anno dal report dell’Osservatorio Crowdinvesting del Politecnico di Milano: gli investitori crowd non si nascondono nella moltitudine anonima del web né nelle fila della finanza istituzionale, eppure esistono (sono stati quasi 38.000 l’ultimo anno per l’equity crowdfunding). Sono i clienti, o potenziali tali, delle stesse società offerenti.
Non esistono investitori seriali
La prima illusione da abbandonare è quella dell’esistenza di investitori “seriali”, ovvero in agguato sulle piattaforme di crowdfunding in attesa di campagne in cui investire, una dopo l’altra. Questa illusione fa il paio con l’idea di un “circolo di investitori” che si organizza in massa per investire in tale campagna e poi in un’altra, agendo come un corpo compatto e unanime: si chiama “club deal” ed è una cosa diversa dal crowdfunding.
L’ultimo report del Politecnico sopra citato evidenzia come 28.758 dei quasi 38.000 investitori equity censiti nel 2023 abbia investito in una sola campagna, altri 6.530 in due o tre campagne e solo 451 investitori abbiano partecipato a dieci o più campagne, con le altre poche migliaia sparse nel mezzo.
Risulta evidente che la stragrande maggioranza degli investitori arriva sui portali di crowdfunding avendo già ben chiaro in mente l’obiettivo, ovvero la campagna in cui investire.
Gli investitori seriali sono pochissimi e non saranno loro a fare da soli il successo di pressoché nessuna campagna di crowdfunding. Stesso discorso per gli investitori istituzionali: possono essere buone opportunità per rimpolpare in modo significativo la raccolta, ma non ne sono le fondamenta.
Non si parlerebbe, altrimenti, di crowdfunding: dobbiamo andare alla ricerca di una “folla”.
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Il cliente come investitore
L’imprenditore che si chiede perché degli sconosciuti dovrebbero decidere di investire nel suo progetto online ha ragione: non c’è un motivo sensato. Ma se gli investitori crowd non sono né i grandi investitori o quelli seriali né degli sconosciuti, dove bisogna andare a prenderli?
Più vicino di quanto si possa pensare: fra i clienti dell’azienda e fra coloro che sono in target per essere potenziali clienti.
Se c’è qualcuno interessato al prodotto/servizio di un’azienda e al fatto che questa continui a esistere e prosperi, quello è il suo cliente. Qualcuno che ha un’esigenza che quel prodotto o servizio soddisfa o potrebbe soddisfare.
Individuare nei clienti o potenziali tali il target dei migliori investitori crowd porta una serie di vantaggi, oltre a essere determinante per il successo della campagna:
- hai già un database di contatti o gli strumenti per crearlo grazie alla targettizzazione;
- non devi partire da zero con la comunicazione, perché parli a qualcuno che o ti conosce già o può avere un’idea di quello di cui ti occupi;
- prendi due piccioni con una fava, perché trovi investitori e nuovi (o più fidelizzati) clienti insieme, risparmiando tempo e ottimizzando la spesa di marketing e sales;
- costruisci uno zoccolo duro di sostenitori che farà passaparola.
Sarebbe troppo ottimistico, tuttavia, pensare che i clienti e potenziali tali di un’azienda investano in essa solo per assicurarsi che continui a produrre quello che serve loro o per valore affettivo.
Ma allora come convincere i clienti o potenziali tali a diventare investitori crowd? Con i reward!
I reward per trasformare i clienti in investitori
Ai reward e al loro utilizzo abbiamo dedicato un articolo ad hoc, ma riprendiamo qui i fondamentali.
Il reward è, letteralmente, un “premio”, una ricompensa data in cambio dell’investimento nella campagna di crowdfunding, che serve a offrire un ritorno concreto, immediato ed esclusivo a un’azione che altrimenti vedrebbe i suoi risultati dopo molto tempo. Per di più un investimento in crowdfunding – come e più di qualsiasi investimento – ha una componente di rischio e incertezza notevole, perciò l’investitore si trova a dover accettare l’eventualità di perdere il suo capitale e non ricevere niente in cambio: il reward, sicuro e immediato, serve a mitigare questo rischio.
Le caratteristiche che il reward deve avere per risultare sufficientemente appetibile per i potenziali investitori sono le seguenti:
- legame con il prodotto/servizio dell’azienda (in modo da interessare i clienti e potenziali tali)
- esclusività (deve essere qualcosa che non si può ottenere in altro modo se non attraverso l’investimento crowd)
- scadenza temporale (deve essere valido solo se l’investimento viene compiuto entro un certo periodo di tempo, per creare urgenza).
Quest’ultimo punto va replicato più volte, in quella che si può definire la “matrice dei reward”: bisogna predisporre una prima fascia di reward, più preziosi, per chi manifesta interesse già durante la fase di precrowd (e poi, ovviamente, investe), una seconda fascia, meno ricca, per chi investe a inizio campagna e infine una terza fascia più modesta per stimolare i ritardatari, mantenendo la sensazione di esclusività per tutti coloro che hanno investito prima.
Seppure abbiamo detto che per il lending crowdfunding tutto il ragionamento fatto finora è meno rilevante, c’è comunque un grande vantaggio nell’utilizzare i reward: è una strategia di marketing per ingaggiare non investitori generici, ma persone interessanti per l’azienda a livello commerciale e professionale.
I reward possono essere di tre tipi, combinabili fra loro all’interno della stessa campagna:
- di prodotto/servizio
- esperienziale
- economico.
Un esempio da manuale dell’applicazione di questa strategia vincente per l’equity crowdfunding è il caso BrewDog, birrificio artigianale scozzese che è arrivato a valere diversi miliardi grazie alle campagne Equity for Punks e a tutta la narrativa e il complesso di reward che i due fondatori vi hanno saputo costruire intorno: abbiamo analizzato in un articolo dedicato il loro caso di successo.
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